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Jean-Jacques Ficat

  • Chirurgo Ortopedico

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Aree d’intervento

  • Chirurgo Ortopedico
Posizione attuale
Chirurgo Ortopedico
Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia
Saint Jean Languedoc clinica 31400 TOULOUSE
Profilo professionale
Dottor Jean-Jacques Ficat
Nato 25 agosto, 1954 a Tolosa, Francia

Studi medici:
Interni Tolosa Ospedali, 1978-1982
Signore Nuffield Scholar (Nuffield Orthopaedic Center) OXFORD: Settembre 1982 – Settembre 1983
Direttore della clinica Assistente Università Ospedali: ottobre 1983 – gennaio 1982
Medico ospedaliero: gennaio 1986 – 31 gennaio 1988

Ciclo Human Biology:
C.É.S. di Biologia Umana e Generale Anatomia e Organogenesi
C.É.S. Biomeccanica dell’Apparato Locomotore e Kinesiologia
Biologia Umana Maestro – 1981
Graduate Studies e Research in Biologia Umana – 1983 (Dipartimento di Biofisica – Pr Ducassou, Bordeaux)

Posizione attuale:

Chirurgo Ortopedico
Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia
Saint Jean Languedoc clinica 31400 TOULOUSE

Learned Societies:
Membro della Società Ortopedica Traumatologica francese dal 1984
Membro della Società Girdlestone ortopedico dal 1983
Membro della British Orthopaedic Association dal 1983
Membro della Società Hip europea dal 1993

Distinzioni:
Vincitore del Toulouse School of Medicine: Medaglia d’oro
Prezzo Rieunau – TOULOUSE – 1984
C.F.B.S. magazzino SOFCOT (Mag-giu 1985)
Comitato Editoriale: Advisory Board di corrente Ortopedia (1987-1995)

 

Ortopedia

Prestazioni:

PROTESI DI ANCA

L’anca è l’articolazione che collega la coscia al bacino. È la zona del corpo in cui si effettuano i movimenti tra l’estremità superiore del femore (si chiama anche testa femorale) e una cavità dell’osso del bacino (che si chiama cotile). Le parti dell’osso che si articolano tra di loro sono ricoperte da un tessuto che favorisce lo scivolamento: la cartilagine. La cartilagine ha la doppia funzione di ammortizzatore e di ripartitore dei problemi. Quando la cartilagine è consumata, il problema si chiama artrosi. All’altezza dell’anca, l’artrosi prende il nome di coxartrosi.

 

PROTESI TOTALE DI ANCA

I differenti tipi di protesi

Esistono numerosi tipi di protesi totale dell’anca. Al giorno d’oggi tendono ad assomigliarsi sempre di più. Andando indietro nel tempo, e studiando lo sviluppo dell’impiantazione di protesi tramite i registri nazionali, si è potuto mettere in evidenza quali siano i modelli più performanti.

Protesi totale di anca
Si differenziano soprattutto in base alla natura dei materiali che assicurano la mobilità articolare, e cioè la coppia articolare, e in base al sistema di fissaggio nell’osso in cui sono impiantate.

La coppia più antica è la coppia in metallo polietilene. Questa rimane molto usata per gli anziani, soprattutto. Il problema a lungo termine di questa coppia è l’usura del polietilene, i cui effetti possono indurre al distacco della protesi.
Nuovi polietileni più resistenti sono oggi disponibili.
Per i pazienti più giovani, è raccomandata una coppia ceramica-ceramica.
La ceramica ha la proprietà di essere molto resistente all’usura.
I problemi osservati sui primi modelli sono ormai risolti in maniera eccezionale con le ceramiche di nuova generazione.
Anche la coppia metallo-metallo è stata provata sui pazienti più giovani, ma espone al rischio di metallosi, poiché può provocare riassorbimento osseo e importanti fenomeni infiammatori intorno alla protesi a causa della reazione immunologica.
Numerosi sono i casi riportati dalla letteratura medica.
Il suo utilizzo è oggi più limitata e riservata a uomini in giovane età.

Per quanto riguarda il fissaggio degli impianti all’osso, due sono i tipi utilizzati :
– Fissaggio tramite cemento. Permette un fissaggio solido e immediato degli impianti e colma la cavità dell’intervento (cotile e fusto femorale).
– Fissaggio senza cemento, tramite “press-fit”.
La protesi viene impiantata tramite duro sfregamento e tramite fissaggio biologico; durante le prime settimane che seguono l’intervento, le cellule ossee riescono a “incollarsi” al rivestimento della protesi.
Si tratta dunque di un fissaggio in sue tempi, che necessità una buona stabilizzazione immediata degli impianti al momento della posa.

2. Quando occorre effettuare l’intervento di Protesi Totale dell’Anca?

L’inserimento di una protesi totale dell’anca vi verrà proposta dal vostro chirurgo, nella maggior parte dei casi, quando sentirete troppo dolore.

Il dolore all’anca è un dolore che dall’inguine si allarga alla parte anteriore della coscia e verso il ginocchio; a volte è trafittivo e si spinge fino al posteriore e la natica.
I movimenti dell’anca, in particolare la rotazione interna, risvegliano o riacutizzano i dolori.
Con il tempo, l’artrosi provoca un irrigidimento dell’articolazione e un’atrofia muscolare che potrebbero avere ripercussioni sulle vostre attività. Quando questo dolore non riesce ad essere più lenito dai trattamenti medici e attraverso le radiografie l’anca risulta troppo compromessa per effettuare un intervento di conservazione, l’applicazione della protesi diventa l’unica soluzione chirurgica.

Test: l’indice de Lequesne permette di valutare il vostro problema in maniera più oggettiva.

La protesi può essere consigliata se i dolori sono ancora sopportabili ?

A volte l’artrosi può distruggere la vostra articolazione in maniera importante, senza che voi proviate dei dolori troppo limitanti.
Alcune persone resistono meglio di altre al dolore e sono in grado di secretare dei calmanti.
Si chiamano endorfine.
Questo rappresenta all’inizio un vantaggio, ma con l’aggravarsi della malattia questa insensibilità al dolore può portare a un deterioramento rapido e grave della vostra articolazione, senza che voi ne siate consapevoli.

Inoltre, in altri casi, il vostro chirurgo può proporvi di applicare una protesi anche se voi ritenente di poter attendere ancora. Perché?

Quando non rimane più cartilagine (il tessuto permette alle ossa di articolarsi), anche l’osso sottostante rischia di deteriorarsi e si usurarsi.
All’altezza del femore, quando viene applicata una protesi, la resezione è larga e questa usura non è grave.
Invece il cotile, la cavità del bacino in cui va introdotta la capsula, ha delle pareti sottili, e il troppo deterioramento può rendere problematico l’intervento e il decorso post-operatorio.

Quando la cartilagine è completamente consumata e viene rimandato l’intervento, è necessario effettuare un controllo clinico e radiologico almeno ogni 6 mesi per non permettere una distruzione articolare maggiore che renderebbe troppo complicata l’operazione.

Queste lesioni profonde si accompagnano di solito a una diminuzione della mobilità dell’anca; ciò che si chiama rigidità articolare.
Inoltre, con il tempo, questa rigidità porta anche a un deterioramento dei muscoli che circondano l’anca, perdita di forza, ritrazioni.
Una delle ritrazioni muscolari più frequenti è la ritrazione dei muscoli rotatori esterni.
Il piede si ritrova progressivamente bloccato nella rotazione esterna e ci si ritrova a camminare come “Charlot”.
Nonostante l’applicazione della protesi, questo modo di camminare persiste nei primi tempi: occorrono mesi perché i fisioterapisti arrivino a correggere questo problema, e la correzione a volte non è completa.

3. Oltre ai medicinali (antalgici, anti-infiammatori) e alle cure fisiche (riabilitazione, osteopatia, balneoterapia), quali sono le alternative all’applicazione di una protesi all’anca?

Le infiltrazioni all’anca :

La viscosupplementazione :
Se è ancora presente un po’ di cartilagine sulle superfici articolari, può essere proposta un’infiltrazione intra-articolare all’anca, come quella che viene effettuata per l’artrosi alle ginocchia.
Viene iniettato nell’articolazione un viscosupplemento di liquido sinoviale (acido ialuronico) per lubrificare l’articolazione e proteggere la cartilagine. Questo trattamento può ridurre il dolore e migliorare la mobilità dell’articolazione.
L’infiltrazione deve essere effettuata da un medico specialista e accompagnata da un controllo radiologico ed ecografico.
A volte possono essere necessarie diverse infiltrazioni.
La durata del sollievo varia da alcuni giorni a qualche mese.
In caso di effetto duraturo, se non si registra un deterioramento clinico o radiologico, il trattamento può essere ripetuto.

I derivati del cortisone :
In caso di forte spinta infiammatoria e intensi dolori, può essere ipotizzata un’infiltrazione di un derivato del cortisone.
Può avere effetti straordinari sul dolore ma il suo effetto è limitato generalmente all’artrosi e, inoltre, può anche aggravare le lesioni articolare e indurre una necrosi all’altezza della testa femorale.

La proloterapia: le iniezioni peri-nervose sottocutanee

Un intervento conservativo può essere la soluzione proposta per salvare la vostra anca o almeno ritardare per diverso tempo l’evoluzione dell’artrosi. Per esempio, alcune persone hanno una testa femorale non ben coperta dal bacino.
Questi possono beneficiare di un’operazione che serve a ricoprire meglio questa testa.
In alcuni casi l’intervento può ritardare di più di 15 anni l’applicazione di una protesi.
Se possibile, dunque, è la soluzione preferibile, in particolare in giovane età.
Non mancate di parlarne con il vostro chirurgo !

4. Alla fine, chi prende la decisione dell’impiantazione di una protesi ?

Se il ruolo dell’équipe medica è di aiutarvi a fare la scelta giusta, informandovi sui vantaggi e sui rischi dell’intervento a seconda del vostro caso specifico, è sempre vostra in ultima istanza la decisione di operarsi.

I RISCHI

Un intervento protesico all’anca comporta dei rischi, che possono aumentare se sono compresenti altre malattie che indeboliscono le vostre difese immunitarie, come ad esempio il diabete.
È importante conoscere questi rischi prima dell’operazione, per poter prendere la decisione su un intervento che, nel caso dell’applicazione di una protesi all’anca, non è vitale e indispensabile, ma che serve a migliorare la propria vita quotidiana.

Le complicanze possono essere precoci o tardive.
Questo elenco non è esaustivo ma prende in considerazione quelle che più frequentemente vengono riscontrate per questo tipo di intervento.

1. Le complicanze precoci
Infezione:
Si tratta di una delle complicanze più temute durante l’applicazione di una protesi, poiché un corpo estraneo nell’organismo si infetta più facilmente.
Se vengono prese tutte le precauzioni necessarie, questo rischio si verifica nell’1% dei casi.

La Flebite:
l’immobilizzazione, sul tavolo operatorio e nei tempi immediatamente successivi all’intervento, può essere responsabile di una trombosi venosa, ovvero un’ostruzione della vena a causa di un coagulo.
La flebite provoca gonfiore o edema e dolori alla gamba.
Se il coagulo si stacca, può raggiungere i polmoni e provocare di conseguenza un’embolia polmonare.
Il rischio di flebite è diminuito fortemente grazie a un trattamento che fluidifica il sangue (anticoagulante), esercizi di mobilità a letto a partire dal primo giorno successivo all’operazione, il recupero precoce della facoltà di alzarsi, e eventualmente l’utilizzo di una calza elastica che favorisce la circolazione venosa profonda.

Il versamento sanguigno:
il tavolo operatorio può essere sede di importante perdite di sangue.
Per questo motivo durante i primi giorni vengono lasciati diversi tubi di drenaggio nelle ferite per evacuare questo sanguinamento.
Tuttavia, vi sono casi in cui si forma un accumulo di sangue, un cosiddetto ematoma.
Un ematoma minimo capita di frequente e determina una macchia blu sulla pelle; viene risolto facilmente.
Più di rado può succedere di aver bisogno di una puntura, ovvero della riapertura della cicatrice per svuotarlo.

La lussazione:
cioè la slogatura della protesi.
è più ricorrente in caso di debolezza muscolare durante i primi mesi seguenti l’operazione.
Per evitarla, è importante rispettare le consegne che vengono date dal fisioterapista (membro dell’équipe medica che si occupa della vostra riabilitazione).
Per rimettere la protesi al suo posto di solito è sufficiente una semplice trazione della gamba.
Se invece si verifica un’anomalia della protesi, può essere necessaria una nuova operazione.

La paralisi nervosa:
si tratta di una complicanza molto rara nei casi abituali.
Invece, quando l’artrosi all’anca segue una lussazione all’anca in giovane età e il chirurgo deve allungare l’arto durante l’operazione, il rischio diventa più grande quanto l’importanza della riduzione prima dell’intervento.

La frattura:
è un complicanza rara. Si riscontra soprattutto se si registra una particolare fragilità ossea.
Può verificarsi al momento dell’impiantazione della protesi, e il chirurgo la ripara nel corso della stessa operazione.
Può ritardare l’appoggio sull’arto operato e il tempo del suo rafforzamento.
Se si verifica in un secondo tempo, come durante una caduta, può essere necessaria una nuova operazione.

Dolori reumatici:
dopo l’applicazione di una protesi, è possibile a volte soffrire, nel primo periodo, di dolori lombari (alla base della schiena) accentuati.
Il corpo recupererà piano piano un nuovo equilibrio e, al contrario, la mobilità che la protesi conferisce all’anca permetterà di sforzare meno la colonna vertebrale.
A volte in seguito all’operazione alcune articolazioni possono infiammarsi, riscaldarsi, gonfiarsi e fare male (crisi di poliartrite, di gotta o di condrocalcinosi).
L’infiammazioni viene di norma risolta effettuando una terapia adatta.

Le ossificazioni periprotesiche:
in rari casi i tessuti circostanti la protesi (capsule, muscoli, legamenti) sviluppano la tendenza a ossificarsi.
Il più delle volte queste ossificazioni sono leggere e non hanno un’incidenza funzionale.
Tuttavia a volte possono limitare la mobilità della nuova articolazione o addirittura bloccarla completamente.
Alcuni soggetti sono più esposti, ovvero i portatori di una iperostosi o di una spondiloartrite anchilosante.
Questa tendenza alla formazione eccessiva di tessuto osseo può essere riscontrata durante le radiografie preoperatorie.
Normalmente un trattamento preventivo antiinfiammatorio durante le prime tre settimane seguenti l’operazione può evitare o limitare il rischio.
Se sapete di avere questo tipo di problema non mancate di informare il vostro chirurgo.

Esiste il pericolo di vita per un intervento di protesi all’anca ?

L’intervento all’anca, contrariamente a un intervento a un organo vitale come il cuore o il cervello, non presenta direttamente un rischio simile.
Ogni operazione, di qualsiasi livello di difficoltà, può comportare questo pericolo, in primo luogo per lo stress che può provocare, e in secondo luogo per la necessità di effettuare un’anestesia generale o locoregionale (anestesia alla parte bassa del corpo).
Il rischio di decesso è calcolato attualmente attorno allo 0,5%, ed è legato principalmente al vostro stato fisico generale.
Gli esami precedenti all’operazione permettono di valutare questo rischio.
Se l’équipe medica lo giudica troppo altro, essendo la protesi un’operazione non vitale, l’intervento potrebbe essere sconsigliato.

2. Le complicanze tardive

La protesi dell’anca, come tutte le protesi articolari, può presentare con il tempo delle complicanze di tipo meccanico.
In particolare, ciò riguarda l’usura delle superfici articolari legate al loro sfregamento durante in movimenti e il dissigillare e il distacco della protesi dal suo supporto osseo.
I due fenomeni sono di solito collegati tra loro.

Si è verificata anche la frattura della protesi in alcuni impianti.
Le fratture della tige femorale sono oggi eccezionali, ma recentemente si sono riscontrate rotture di teste femorali in ceramica.
Queste necessitano un nuovo intervento urgente per poter applicare una nuova testa e togliere i frammenti che provocano in breve tempo disturbi articolari.
L’infezione tardiva:
nel corso di un’infezione cutanea, urinaria, polmonare, i microbi possono passare attraverso il sangue e arrivare a contatto con la protesi.
Se non viene cominciato un trattamento con antibiotici in breve tempo o se questo trattamento i microbi sono resistenti agli antibiotici, la protesi può infettarsi.
In questi casi per guarire l’infezione è spesso necessaria un’ablazione della protesi.
Una re-impiantazione sarà possibile in un secondo tempo, o in casi eccezionali anche subito, anche se il rischio di una ripresa dell’infezione può complicare il successo del trattamento con antibiotici.

I dolori:
a volte alcune persone continuano a soffrire alle anche nonostante la protesi sia ben posizionata e le radiografie non mostrino alcuna anomalia.
Questi dolori possono verificarsi nei tessuti circostanti la protesi, e a volte per avere dei miglioramenti occorre attendere più di un anno.
Ad ogni modo, in questi casi, è bene essere seguiti per scongiurare eventuali complicazioni.

ACCESSO ANTERIORE DI ANCA

L’approccio anteriore AMIS (Anterior Minimally Invasive Surgery) è l’unico tipo di trattamento che non recide alcun muscolo, preserva i tendini e rispetta i nervi.

I vantaggi sono molti:
Diminuzione del dolore post-operatorio
Rapido recupero, che consente di ricominciare a camminare entro la sera stessa del giorno in cui ha avuto luogo l’intervento o al massimo entro il giorno dopo
Degenza ospedaliera più breve, da 24 ore a tre giorni salvo complicazioni
Dimensioni ridotte della cicatrice
Ritorno più rapido a una vita normale (vedi decorso post-operatorio- fare clic sul link)
Riduzione del sanguinamento
Riduzione significativa del rischio di lussazione
Prevenzione della claudicazione.

 

 

FAST TRACK

Il CSTR è un nuovo protocollo per la gestione dei pazienti finalizzato alla rapida ripresa della loro autonomia dopo l’intervento chirurgico. Si basa su una innovativa gestione da parte di un gruppo multidisciplinare durante il periodo di ospitalizzazione. Ciò prevede la partecipazione attiva del paziente, una migliore gestione del dolore e un programma di riabilitazione più dinamico.

Questo protocollo riduce lo stress fisiologico e psicologico legato agli interventi, riduce le complicanze, tra cui le infezioni causate da una degenza ospedaliera più breve.
La ripresa delle attività (mobilizzazione articolare, possibilità di camminare) avviene nel giro di 3-5 ore dopo l’intervento. Ciò è possibile grazie al miglioramento delle tecniche chirurgiche, che sono meno traumatiche (come l’approccio anteriore dell’anca per i PTH) e grazie all’utilizzo di un’anestesia multimodale capace di combinare tecniche anestetiche convenzionali (anestesia generale, anestesia spinale, blocco nervoso periferico) con un’anestesia locale durante l’intervento, seguita dall’installazione di un piccolo catetere intra-articolare che permette di iniettare per uno o due giorni un cocktail analgesico per ridurre il dolore.
Poche ore dopo l’intervento chirurgico, il trattamento analgesico (morfina) per via endovenosa può essere terminato. Questo evita gli effetti collaterali di questo trattamento per via endovenosa, che comporta il sopraggiungere di vertigini e aumenta il rischio di caduta rendendo difficile alzarsi il giorno stesso dell’intervento.

Trattamento di supporto tradizionale
Trattamento di supporto CSTR

Anestesia generale o anestesia Rashi
Blocco nervoso periferico +/-
Utilizzo di prodotti
anestetizzanti a breve durata +
LIA (Local intra articular anesthes)

Cateterizzazione
Nessuna cateterizzazione, salvo
se specificamente indicato

Via venosa da 24 a 48 ore
Interruzione del trattamento intravenoso
il giorno dell’intervento

Mobilità il giorno dopo l’intervento chirurgico
Mobilità il giorno stesso con possibilità di camminare
in assenza di problemi generali l

Morfina per via sistemica
(pompa di morfina)
Morfina per via orale (dalle 24
alle 48 ore, se necessario)

Ospedalizzazione da 5 a 8 giorni
Ospedalizzazione da 1 a 4 giorni

 

SOSTITUZIONE DI UNA PROTESI DI ANCA

Alcune protesi d’anca possono, dopo diversi anni dall’applicazione, subire un allentamento dovuto al logoramento dei materiali. Si parla di allentamento quando la protesi nel suo insieme o una parte di essa (acetabolare o femorale) non è più saldamente fissata all’osso. Se ne parla anche come mobilizzazione delle protesi. Esistono due tipi di allentamento: l’allentamento meccanico, detto asettico, e quello settico, dovuto al verificarsi di un’infezione.
ALLENTAMENTO ASETTICO
Di solito, è legato all’usura dei materiali delle protesi. L’usura provoca la comparsa di microparticelle che si accumulano nella nuova articolazione e secondariamente causano il riassorbimento dell’osso a contatto con le protesi. Questa reazione si osserva soprattutto con particelle di polietilene e certe protesi con superfici articolari metallo-metallo (vedi coppie articolari). Il cemento, se utilizzato per fissare le protesi, può anch’esso rilasciare particelle tossiche.

Occorre sapere che alcune persone hanno una reazione immunologica più importante di altre e un rischio maggiore e più rapido di riassorbimento osseo, anche in caso di un’usura moderata.
ALLENTAMENTO SETTICO
Più raramente l’allentamento può essere dovuto al sopraggiungere di un microbo sulla protesi. Questa infezione secondaria, quando si verifica anni dopo l’installazione di una protesi, è una infezione trasmessa a distanza (bronchiti, ascessi dentali, infezione della pelle) in quanto i germi possono entrare nel sangue e fissarsi sulla protesi. Una protesi allentata presenta un tessuto infiammato, riccamente vascolarizzato ed è quindi a maggior rischio di infezione secondaria. Il carattere non settico di un allentamento non potrà essere definito tale se non prima della negatività dei prelievi di campioni batteriologici che saranno effettuati quando la protesi verrà cambiata.
CONSEGUENZE DELL’ALLENTAMENTO
L’allentamento di solito è segnato dal ricorrere di dolori, dalla claudicazione e dalla limitazione nelle attività quotidiane. I dolori nel corso del tempo possono essere soggetti a complicazioni:

di un accorciamento del membro attraverso la flessione dello stelo nel femore
di una lussazione della protesi
di una rottura delle protesi (stelo femorale, viti per il fissaggio dell’acetabolare)
di una frattura intorno alla protesi, a volte senza traumi rilevanti se l’osso è troppo fragile.

È importante notare che significative lesioni ossee possono formarsi senza alcun dolore finché la protesi non è completamente allentata. Ecco perché è importante fare controlli radiologici periodici, anche se non si sente alcun disagio anomalo. 
QUANDO OPERARE ?
Come abbiamo visto, occorre prendere in considerazione un intervento sulla protesi quando l’allentamento diventa doloroso, se la vostra condizione generale non presenta controindicazioni a un eventuale intervento o se nel corso di un controllo dovessero essere scoperte lesioni ossee. In questo caso, la decisione dovrebbe essere presa in accordo con il vostro medico e il vostro chirurgo al fine di evitare l’insorgere di complicazioni che rendono più difficili e dolorose per voi l’operazione chirurgica e le sue conseguenze. La sostituzione di una protesi è un intervento più pesante dell’impianto di una protesi in prima battuta, e i benefici e rischi di un intervento devono essere ben valutati.

PROLOTERAPIA
La proloterapia
Si tratta dell’iniezione di destrosio al fine di riparare i tessuti connettivi (legamenti, tendini, ossa, cartilagine). Il termine deriva dal latino proli, “crescere”. L’iniezione di destrosio (siero di glucosio con una concentrazione dal 15 al 25%) stimola l’infiammazione. L’infiammazione costituisce la prima fase naturale della riparazione del tessuto traumatizzato. La proloterapia aiuterà il rinforzo dei tessuti danneggiati, rendendoli più forti..
La Neuro proloterapia
Questa è una tecnica più recente introdotta nel 2005 dal dott LYFTOGT in Nuova Zelanda. Essa prevede iniezioni perineurali e il suo scopo non è la proliferazione del tessuto, bensì ottenere un effetto sulle terminazioni sensoriali sottocutanee. Per questo motivo, l’Accademia australiana di medicina ortopedica raccomanda il termine della terapia per iniezione perineurale. Il primo corso internazionale si è tenuto nel 2009, diffondendosi rapidamente nel mondo anglosassone: Australia, Stati Uniti, Gran Bretagna.
Come funziona?
La pelle possiede recettori del dolore chiamati nocicettori. Si tratta di terminazioni nervose libere o terminali degli assoni senza mielina. Queste terminazioni dalle molte ramificazioni sono le estremità delle fibre denominate tipo A delta (dolore acuto) e C (dolore cronico). Si trovano dappertutto: nella pelle dei muscoli, nei vasi, nelle articolazioni ossee, nelle viscere. Solo il cervello ne sarebbe sprovvisto. Queste cellule sono attivate da stimoli meccanici: puntura, schiacciamento, scossa elettrica o termica, ipossia …

La loro soglia di attivazione è superiore a quella dei meccanorecettori. Il trauma provoca una stimolazione dei nocicettori direttamente attraverso una pressione, o indirettamente attraverso una reazione chimica modificando i recettori della membrana (vari tipi di canali ionici). Le cellule di un tessuto alterato da un trauma scatenano impulsi nervosi che rilasciano sostanze chimiche, le quali andranno a stimolare i nocicettori.

Queste molecole dette algogeni sono molteplici::

enzimi come la bradichinina
neurotrasmettitori come la serotonina
ormoni come la prostaglandina.

Se lo stimolo è forte o si ripete la soglia di risposta si abbassa. Il numero di impulsi nervosi aumenta insieme alla sensazione di dolore. I nocicettori invieranno al cervello attraverso il midollo spinale due tipi di sostanze: i neurotrasmettitori classici (glutammato, aspartato, serotonina) e i neuropeptidi (Sostanza P, somatostatina, peptidi correlati al gene della calcitonina … almeno 20 sostanze!)

Il dolore neuropatico o neurogeno proviene da una lesione dei nervi stessi: sezione, schiacciamento. Viene avvertito come una scossa elettrica,un bruciore, un formicolio. Esso provoca iperalgesia o allodinia quando un semplice stimolo tattile provoca un forte dolore. I nocicettori possono subire sensibilizzazione periferica o centrale che può persistere anche dopo la guarigione della ferita.

L’iniezione ha come scopo quello di ripristinare il normale funzionamento dei piccoli nervi sensoriali per via sottocutanea. Questi nervi danno luogo a una secrezione di proteine, le quali possono sia favorire la riparazione dei tessuti, sia provocare un’infiammazione patologica, definita infiammazione neurogena.

LYFTOGT ha mostrato che l’iniezione di destrosio con un 5% di concentrazione di base riduce l’infiammazione e produce un effetto analgesico immediato.
Quanto tempo dura l’effetto dell’iniezione?
L’effetto della prima iniezione può durare da alcune ore a diversi giorni o addirittura settimane. Un’iniezione può essere sufficiente a far scomparire il dolore definitivamente. Di solito sono necessarie dalle tre alle sei infiltrazioni a seconda dei casi per ottenere una scomparsa durevole dei dolori. Tuttavia, ogni iniezione abbassa il livello di dolore iniziale (o dolore residuo, se un’iniezione è già stata eseguita in precedenza).
Le infiltrazioni perineurali profonde :
LYFTOGT successivamente ha dimostrato che questi nervi possono essere compressi nel loro percorso profondo quando si passa de fascia. Sul punto di puntura, il nervo può essere schiacciato, cosa che provoca gonfiore del nervo e un blocco della circolazione intraneuronale per il fattore di crescita nervoso, essenziale per il suo corretto funzionamento (NGF). Un’infiltrazione profonda di destrosio nell’area di strangolamento del nervo può ridurre l’edema e normalizzare il funzionamento del nervo. Si tratta dell’iniezione perineurale profonda.

La legge di Hilton sostiene che un nervo che innerva un’articolazione innerva anche la pelle circostante. Una circolazione anterograda e retrograda dei neuropeptidi responsabili di una infiammazione dolorosa può essere modificata ricorrendo ad infiltrazioni. Questo spiega uno dei loro possibili meccanismi di azione. Il destrosio può legarsi ai tubi Ca ++ e bloccare il rilascio di sostanze P e di CGRP, riducendo così l’infiammazione neurogena.

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